{Pillo ricorda}

Cortesia e Coraggio

Posted in Immaginare by pillos on marzo 19, 2010

by Tim Frost

« Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto [..]
» (Incipit, Orlando Furioso)

C’era una volta un cavaliere di nome Ulrico Bellachioma che vagava senza meta per terre lontane alla ricerca di gloria e onore. Egli girava a caso compiendo qui e là gesta di cortesia anche non richieste, e questo spesso gli procurava grandi problemi. Dopo grande vagare alfin giunse nelle terre dell’Arciduca di Capicchiu. Colà apprese dagli abitanti del loco che l’Arciduca presto sarebbe partito per grandi imprese e voleva affidare le sue terre a persona fidata e di valore. Insieme alle sue terre egli avrebbe anche dato in affido il favoloso concubinato di cui tanto si sentiva parlare. L’Arciduca infatti amava attorniarsi di decinaia di donne, e tutte parevan contente e soddisfatte.
La persona prescelta avrebbe avuto il compito di sostituirlo in ogni cosa compreso il difendere tutte le proprietà dal suo acerrimo nemico, Simonigio conte di Pertugio.
Ma tre grandi prove il prescelto avrebbe dovuto superare per esser degno di tale compito.
Saputo ciò, Ulrico Bellachioma, cavaliere coraggioso, bramoso di impegnarsi in grandi prove, tosto si presentò al castello dell’Arciduca.
Li lo accolse la Magaregina consigliera dell’Arciduca e gran fattucchiera, che gli espose le prove che l’avrebbero atteso.
“Tre son le sfide” disse la Magaregina “che proveranno il tuo valore d’uomo, se le supererai i possedimenti in affido otterrai, fino al ritorno dell’Arciduca”
“Pronto sono, esponi dunque”

La prima prova consisteva nel salvar una pulzella tenuta prigioniera da un drago in una cava.
“Classico!” disse Ulrico e partì deciso in groppa al suo ronzino. Galoppò per un giorno e una notte senza sosta e quando giunse nel luogo indicato, si impegnò nella lotta.
Uccise il drago, salvò la pulzella e di lì a un giorno e una notte tornò al castello dell’Arciduca.
La Magaregina accertate le condizioni della pulzella, andò dall’Arciduca.
“Il cavaliere ha sconfitto il drago e salvato la pulzella, mio signore” riferì la Magaregina
“Bene!” esclamò l’Arciduca “e la pulzella?”
“Inviolata!” disse rassegnata Magaregina
“Poffarre! Ma han ben trascorso, sulla strada del ritorno, una notte assieme, nevvero?”
“Sicuramente! Ma virgine di ambo i pertugi l’avevamo lasciata al drago e virgine è tornata!”
“Cortese assai ‘sto cavaliere!” boffonchiò pensieroso l’Arciduca.

Il giorno dopo la Magaregina espose al cortese cavaliere la seconda prova.
“Nel bosco qui vicino abitano magiche creature, una di queste è il mitico Capriolo Errante”
“Egli vive nel bosco e atterrisce i passanti transitando improvviso sui sentieri, è veloce e agile e nessuno finora è riuscito a catturarlo”
“Questa è una sfida che proverà le tue doti di rapidità e agilità”
“Catturalo con questo laccio di canapa, e poi fatto ciò fai una capriola, sarà il segnale che hai concluso la prova”
Ulrico Bellachioma, cavaliere astuto, lesto partì per il bosco.
Tutto un giorno attesero, la Magaregina e l’Arciduca, aspettando il ritorno del cavaliere vittorioso.
In sua vece tornò il Capriolo Errante ornato del laccio di canapa.
“Che ci fai tu qua?” chiese stupita la Magaregina al capriolo.
“Il cavalier che mi mandaste, lesto riuscì a catturarmi col laccio di canapa” disse triste il Capriolo Errante che era magico e poteva parlare.
“E dov’è ora il cavaliere?”
“E’ giù d’abbasso nella corte con due finte cornina da capriolo in testa, egli è carponi che bruca e bela. Mi ha anche mostrato il didietro con ammiccamenti da femmina calorosa. Se è tutto io tornerei nel bosco a riposarmi, ho avuto una giornataccia deprimente”. E se ne andò mesto.
La Magaregina e l’Arciduca guardarono stupiti dalla finestra mentre il cavaliere pascolava felice.
“Ma che burlone questo cavaliere, supera la prova ma falla nel finale” disse dubbioso l’Arciduca
“Eppur è stato capace di catturare il capriolo che mai nessuno aveva catturato, non ci resta che saggiare il suo valore con la terza prova!” disse sospirando la Magaregina.

Da diverso tempo l’Orco Bifallo, creatura malvagia e sessualmente mutata, insidiava con mille sotterfugi il concubinato dell’Arciduca di Capicchiu. E proprio in quei giorni era riuscito a rapire due delle dame concubine, Geppa Mangiacastagna e Tota Verace.
L’Orco Bifallo le teneva imprigionate in una cella della sua magione in attesa della luna piena quando, con rito demoniaco avrebbe atteso il risveglio del suo organo bifalluto e le avrebbe fatte doppiamente sue.
“La grande prova che ti attende” spiegò la Magaregina al cavaliere “consiste nel liberare le belle dame dell’Arciduca, niente di più ti chiediamo”
“Ma bada bene” continuò la Magaregina “la cella nella quale sono rinchiuse è serrata con una spessa corda di crine di unicorno e il suo nodo lo sa sciogliere solo l’Orco Bifallo. Tagliarlo con una lama speciale ti conviene”
“Vai dallo spadaro del villaggio e scegli bene la tua arma tra quelle esposte, solo una giusta scelta ti consentirà l’ottimo taglio del nodo”
Ulrico Bellachioma, cavaliere risoluto, si recò deciso dall’armaiolo suggerito e lì cominciò la ricerca dell’arma perfetta tra le tante esposte.
Passò tutta la giornata, saggiando cento e più lame su legni e cordame vario; tagliava e fendeva come un forsennato per scoprir l’arma perfetta.
Ma venne notte e ancora il cavaliere scrupoloso non aveva scelto.
E con la notte apparve la luna piena.

Nella cella della magione dell’Orco Bifallo, le due dame speranzose di esser salvate attendevano con ansia e paura crescente.
“Non giunge ancor nessuno” sospirando disse Geppa Mangiacastagna
“E l’Orco Bifallo già si starà preparando alla luce della luna” disperando continuò Tota Verace
“Qui bisogna por rimedio al problema, d’esser presa doppiamente dal bifalluto mostro proprio non mi va!” esclamò risoluta la Geppa
“E’ vero, abbisogna cogitare un piano di fuga, se non vogliamo essere violate in malo modo! E forse un’idea briccona mi sovviene!”
“L’Orco Bifalluto è amante dei pertugi, nevvero?” esplicò la Tota “Io mi offro come esca e tu ti nascondi là nell’angolo e da dietro lo cogli di sorpresa colpendolo, e poi fuggiamo via!”
“Ma come farai ad attirarlo e io a prenderlo di sorpresa?” gli fece subito la Geppa
“Vedrai!” disse risoluta Tota Verace.

L’Orco Bifalluto era nel frattempo in preparativi per il suo rito alla luce della luna piena e dopo aver bevuto un chinotto e mangiato una frittata di uova di tucano, era ormai in attesa del prodigioso fenomeno di doppio inturgidimento.
Ma proprio in quel momento da dentro la magione lo chiamò la vocina di una delle dame.
“Orco orchetto dal bifallo perfetto, una sorpresa potrebbe accoglierti qui nel mio letto!” cantava carezzevole la voce della Tota Verace
“Tu che dei due pertugi ne hai grande diletto, sappi che con me ne trovi un terzetto!” concluse risoluta con piglio di sfida.
L’Orco Bifallo che dei pertugi ne aveva fatto un culto, tanto che tutte le creature temevano le sue voglie infinite, a quell’affermazione così canticchiata spudoratamente non seppe resistere.
Una mitica creatura dai tre pertugi! Mirabile visione, esperienza unica! E così pensando, gridò con voce ansimante “Se così è, presto la devo prendere!” e inebriato si lanciò verso la cella.
Sciolse il nodo che solo lui sapeva sciogliere e si precipitò verso la Tota Verace che lì lo attendeva in fondo alla cella, ma ubriaco di voglia non s’avvide del gran sasso che alle spalle Geppa Mangiacastagna gli calò sul capo.
Le due riuscirono a scappare e a raggiungere il castello dall’Arciduca che le accolse lui medesimo colmo di gioia.

“Oh mie belle, mie splendide dame che tornano all’ovile! Grati dobbiamo essere al prode cavaliere che vi liberò” esclamò l’Arciduca
“Nessun cavaliere ci salvò mio signore!” disse la Tota
“Con le nostre sole forze ci traemmo dall’impiccio!” le fece eco la Geppa
“Bisogna festeggiare! Le mie dame sono belle e perdippiù furbe! Voi stesse avete superato l’ultima e più grande prova e degne siete d’essere le custodi del mio regno.”
E fu così che Geppa Mangiacastagna e Tota Verace per timore del peloso bifallo, ottennero la gloria e un regno in custodia.
E non solo. Aiutarono vieppiù le concubine del feroce Simonigio del Pertugio a liberarsi dal giogo che le teneva schiave, e al grido di battaglia “Tana libera per tutte!”  fondarono un piccolo regno dove tutti e tutte erano i benvenuti, compresi Simonigio e l’Orco Bifallo, in piena libertà sessuale.
Ma questa è un’altra storia.
E il cavaliere Ulrico Bellachioma?
Egli restò ancora dall’armaiolo del paese una settimana e più, provando ancora mille lame e discorrendo amabilmente su tagli e tecniche di battaglia, con gran sbadigli di tutti quanti quelli che li ascoltavano.
Ma la pulzella che Ulrico aveva salvato dal drago, stanca di aspettare e sbadigliare, un giorno lo rapì e lo fece suo.
E tutti vissero felici e gaudenti.

Il romanzo cortese è un genere letterario fiorito in Europa (a partire dalla Francia) dalla seconda metà del secolo XII al XIV. L’aggettivo “cortese” rimanda all’ambiente delle corti della Francia settentrionale nelle quali il romanzo nacque e si diffuse. I romanzi danno largo spazio a vicende d’amore e di magia, più che ai valori epici e religiosi tipici della chanson de geste. I contenuti si collegano prevalentemente al ciclo bretone o ciclo arturiano o della Tavola Rotonda. Oltre all’amore, interpretato secondo la concezione che viene definita appunto dell’amor cortese, emergono i valori tipici della società cavalleresca, ovvero il desiderio d’avventura, l’esaltazione del valore individuale, l’idealizzazione del personaggio nobile contrapposto al “villano